di Gabriella Grasso
Difficile pensare qualcosa di più serio di due temi, comuni a tutti, essenziali, quali l’amore e la sopravvivenza. Difficile immaginare di parlarne attraverso la poesia con un tocco che, senza banalizzarli, può definirsi leggero ed incisivo allo stesso tempo. È quanto accade nel libro di esordio (poetico) di Viviana Viviani, “Se mi ami sopravvalutami”, edito da Controluna nel 2019. Nelle due sezioni, intitolate appunto “Amore” e “Sopravvivenza”, l’autrice scandaglia con acume e disincanto le complesse dinamiche dei rapporti interpersonali più importanti – di coppia, tra amici, tra genitore e figlio – in continua oscillazione tra un forte senso di empatia, soprattutto con i più deboli, e profonda solitudine. Con un atteggiamento mi verrebbe da dire infantile, in quanto scevro da sovrastrutture e contorsioni mentali (non perché non li conosca, ma perché ne è oltre), Viviana Viviani guarda e sente i movimenti degli altri e i propri nella loro essenzialità e, probabilmente, nella loro verità.
L’andamento della scrittura è quasi prosastico e colloquiale, ma ciò non esclude il dominio che l’autrice esercita sul testo dal punto di vista metrico e stilistico. Il tono e lo sguardo al tempo stesso divertiti e malinconici ricordano certa poesia del primo Novecento, catapultata in contesti fortemente connotati dalla nostra contemporaneità, dai suoi riti e dai suoi feticci.
Gli esseri umani in questi versi sembrano usare lingue differenti e parlarsi dai loro gusci, ermeticamente chiusi. I dialoghi sono spesso tragicomici tentativi unilaterali : “Se ci fosse una vita di scorta / starei appesa ai tuoi discorsi /inconcludenti e al tuo sorriso / saccente mentre dici weltanschauung / Ma ho una vita sola / e devo lavorare”. Parole e gesti di un teatrino di falsità, tanto tra amanti : “Ridi e parli di suicidio / e decomposizione / sorseggiando una birra, / bello come il sole / Poi te ne vai leggero / come un aquilone / lasciandomi qui / con la tua disperazione”, quanto tra amiche: “ Le amiche perdute / non si salutano al supermercato /poi s’incontrano per caso / a un matrimonio o un funerale / scambiano parole civili / ma non si sanno più”.
Il filo rosso della solitudine e dell’incomunicabilità, raccontate con ironia ma senza sconti, percorre tutto il libro: è dietro gli schermi di computer che quasi la presidiano, nel vissuto delle “vecchie signore” e del mendicante di strada, persino negli oggetti, come accade nel delizioso “La giovane stampante e il vecchio calamaio”, che racconta un improbabile incontro d’amore tra due strumenti di epoche diverse.
In bilico tra consapevolezza a tratti quasi cinica e delicata immaginazione, l’autrice disegna quadri in cui ogni cosa parla di libertà e di inevitabile condizione di solitudine, come in “Gregor non si fa prendere”, dove il ragno sfugge alla cattura e alle definizioni che lo costringono. Altre volte la poesia mette a nudo le contraddizioni di un mondo bizzarro e iniquo, di moralismi di facciata o epidermici, prêt-à-porter.
Con la stessa lucida onestà, l’autrice esprime il tormento di instaurare un dialogo con se stessi, con la paura di crescere, con la difficoltà di raccontare le proprie ansie: “qualcuno dirà che non conosco la morte (…) Il dottore dice sempre / tutto bene solo ansia / ma io sento che il mio corpo / mi insegue per uccidermi”.
Sono testi che ci interpellano su un nodo profondo: il bisogno di essere visti, in un mondo di performance, di etichette e di maschere, per quello che si è, nell’incontro che è stupore e gratuità: “tu indossami senza provarmi / comprami senza garanzia / se mi ami sopravvalutami”
Alcuni testi
Non mandarmi il tuo c@zzo in chat
Non mandarmi il tuo cazzo in chat
che ancora non ho navigato
le lunghe vene delle tue braccia
né attraversato fiumi
camminando sulle tue vertebre.
Non ho sovrapposto le impronte digitali
per vedere se si assomigliano
e nemmeno disegnato ghirigori
tra le nocche delle tue mani.
Non ho contato una ad una
le tue ciglia nel sonno
o soffiato parole audaci
nel labirinto delle tue orecchie.
Non ho ancora cercato l’orsa maggiore
tra le costellazioni dei tuoi nei
né dato un nome a quelle senza nome
sulla volta della tua schiena.
Non conosco le risse
dietro le tue cicatrici
e non so se odori più di bosco
di biblioteca o di autogrill.
Non mandarmi il tuo cazzo in chat
o finirà tra i tanti cazzi senza storia
che vivono nelle chat
spade di pixel sguainate nel nulla
non voglio sapere la sua solitudine
prima di conoscere la tua.
*
Il mendicante ha un dobermann
Il mendicante ha un dobermann,
mi guarda mentre dorme
cammino più veloce
sulla strada dell’ufficio.
La collega lavora bene
tra le gambe del direttore,
avrà un contratto migliore
io più lavoro arretrato.
Lui dice che non mi ama
ha un’altra più felice
ma cedo alle sue urgenze
quando è stanco di allegria.
La mia amica è buona
mi odia se non piango
per chi annega e brucia
nel TG del pomeriggio.
Il mendicante è un dobermann,
se solo mi avvicino
mi sbrana di pietà.
Un euro a un lavavetri
colpo di straccio al cuore
pulisce anche le colpe
di cui sono innocente.
*
Se mi ami sopravvalutami
Se mi ami sopravvalutami
non cadere nell’inganno
di amarmi per quello che sono
sono stanca di faticare
di dovermi sempre impegnare
tu indossami senza provarmi
comprami senza garanzia
se mi ami sopravvalutami
sii bello e condannato
un premio estratto a sorte
un premio immeritato
*
Gregor non si fa prendere
Stasera c’è festa
nella nostra vecchia casa
con invitati stirati di fresco
che bevono finti alcolici.
Parlano di fisco e stelle
tutti a misurarsi
a fare drammi in soldi, in anni,
in chilogrammi.
Io bevo acqua passata
e mordo un po’ di polvere
guardando sul soffitto
il ragno cui desti un nome;
dicevi: “mai uccidere un ragno”
li portavi fuori con delicatezza
ma Gregor non si fa prendere
e non so ancora perché
chiamavi amore una bugia
e davi ai ragni
nomi di scarafaggi.
Gli invitati se ne vanno
uno a uno due a due.
Solo Gregor rimane
non lo vedo ma so
che lo ritroverò sulla carta igienica
o dietro il quadro di tua madre.
La casa ora è vuota;
esco sul balcone
faccio bolle di sapone
e una
diventa la luna.