Pirandello al quadrato

 

 Luigi Pirandello ritorna in Sicilia nell’occasione della morte della sua balia, e si imbatte nella compagnia dei tragicomici Onofrio e Bastiano, attore e aspirante drammaturgo di una compagnia di amatori in fase di realizzazione del loro spettacolo “La trincea del rimorso, ovvero Cicciareddu e Pietruzzu”.

Questa la  struttura realista del film di Andò, che ripercorre la tappa siciliana di Pirandello, il suo incontro con Verga, e conclude con la prima di  Sei personaggi in cerca di autore, fischiato dal pubblico romano del teatro Valle, poco prima che il dramma diventasse il modello di un nuovo teatro, nel podio dei piu grandi drammaturghi europei, fino al Nobel.   Interviene poi nella struttura a cornice, la storia parallela, innervata dalla stranezza, la stranizza tutta siciliana, visionaria e obliqua, che spezzetta la realtà in frammenti disseminati che tutti assieme hanno il loro senso, la loro “quadra”. È un senso che esige l’abbandono della verosimiglianza, delle regole classiche del teatro, di tutti quei patti narrativi che hanno permesso all’arte di svolgere il suo mestiere e al teatro di essere catarsi e rispecchiamento. La stranizza, come la rottura della quarta scenica è una folata di scirocco che ci rende tutti pazzi, ma lucidi, come Enrico IV alle prese con il suo sdoppiamento.  Non va compresa ma “intesa”, respirata, come tutte le piccole follie siciliane che Sciascia (cui peraltro è dedicato il film come si legge nei titoli di coda) ha tratteggiato, con la precisione di un cesellatore, di modo che apparissero- borgesianamente-  reali più del reale stesso. Andò tenta allora di applicare il metateatro pirandelliano ai personaggi che animano questo film, ne fa visioni, personaggi del processo creativo, follie animate, macchiette spiritate.  Gli appaiono, sono reali e surreali, immagini e persone, sono maschere anch’essi.  Il serbatoio di questo processo  che porta i segni del cortocircuito tra vertà e arte- già maturo –  è quella Sicilia che è rappresentata soprattutto dalla farsa, dalla battuta mordace, dallo stereotipo che si fa carne pensante, da quell’apparente semplicità che è complessa come il sorriso della balia morta, l’irrisione della morte, ancestrale e tragica. Come è arcaico, del resto, il legame con il farsesco e la commedia: non è forse stato Plauto ad anticipare il metateatro e la rottura della quarta parete? E si ride allora, con i magistrali Ficarra e Picone deuteragonisti invasati da una gioia della recitazione che si percepisce a ogni singola battuta. Si ride di noi, della vita che ci supera, di Pirandello che ci ha raccontato le nostre maschere, i nostri amari sorrisi, la nostra “stranizza”. E’ un film che ha reso meno cerebrale Pirandello e lo ha giustamente annodato a radici terragne che probabilmente, come tutti i siciliani emigrati, tendono a diventare vagheggiamento nostalgico. Un affastellarsi di grumi spazio temporali che – e ci sta pure- riportano tempo e memoria a uno stato coscienziale più che reale. Non cercate insomma la genesi dei Sei personaggi n Sicilia, non cercate il viaggio nostalgico di Pirandello, perchè la stranezza, come il flusso della vita,  non la puoi rinchiudere nelle forme.  Interviene la leggerezza della boutade siciliana a raccordare tutto, riuscendo nel suo intento primario.

 

Come in un film- Régis de Sá Moreira-

É un po’ come in un film, quando una cosa incomincia in maniera catastrofica ma sospetti che poi succederà proprio l’opposto

                                                     R. De Sá Moreira.

 

Come in un film di Régis de Sá Moreira, pubblicato da NN edizioni  nel 2017 è già manifesto programmatico nel titolo: non si tratta di un esperimento di mixe-coding. Il romanzo e il film rimangono separati e arginati nei loro statuti. De Sá Moreira prende  in prestito la simultaneità del pensiero dei personaggi (in un film possiamo sapere il pensiero dei personaggi simultaneamente,- cosa che narratologicamente viene incorporata nella funzione del  narratore onnisciente classico-  e li squaderna in un fitto, serrato avvicendarsi di pensieri dialogati dove ogni possibile gerarchia viene superata e prendono parola gatti, personaggi secondari e terziari, comparse, registi e cantanti,etc.

Il risultato è pertanto un testo dialogico (con inserti didascalici) che compone una storia perorata da due personaggi principali (Lui, Lei) e da una serie di figure secondarie che spaziano dal gatto ad Harrison Ford alla commessa del supermercato in una babele di voci che narrano la vicenda dell’innamoramento, dello sposalizio e della crisi matrimoniale di un uomo e una donna.

Lui: e più avanziamo nella Senna più riduciamo il tempo che ci separa.

Lei: la Senna trasporta le nostre parole.

Lui: Accompagna i nostri passi.

Lei: Apre le nostre pance.

Lui: Quando la fame diventa troppa ci prendiamo delle crepe da asporto e continuiamo a parlare, camminando e mangiando.

Lei: Finché la canzone d’ammòre non finisce.

Lui: Il silenzio ci circonda.

Lei: Il freddo ci avvicina.

Lui: La notte ci avvolge.

Lei: Sento un braccio che mi cinge la vita.

Lui: E’ un po’ ingrassata.

Lei: Ho rimpiazzato la palestra con la meditazione

Lui: Sento una testa che si gira verso di me.

Lei: Ha qualche ruga in più attorno agli occhi.

Lui: Continuiamo a camminare.

Lei: Ho l’impressione di sentire Dio sopra di noi

Dio: Cucù…

 

I dialoghi sono ironici, talvolta sarcastici. Non una novità da strapparsi i capelli, pertanto, ma una scrittura originale che mi pare attinga dalla filmografia alleniana, segnatamente dal film Io e Annie in cui il regista incomincia a far parlare gli attori fuori campo, inserendo i sottotitoli dei pensieri dei rispettivi personaggi, fino al completo “estraniamento” in cui lo sguardo è completamente quello dell’osservatore esterno.

Il linguaggio esplicito, la battuta paradossale, il repentino cambio di punto di vista, certi viraggi verso il grottesco, sono tutti escamotage del repertorio citato. Al centro la coppia, il sesso, amori e disamori. Tradimento gelosia, sesso a tre, divorzi, ritorni di fiamma, romanticismo e cinismo.

La parola d’ordine è riportare l’osceno al vaglio del lettore ma senza urgenze liriche. Buttarlo lì, come due attori in presa diretta che si spogliano (fisicamente e virtualmente) e che a ci raccontano la loro esperienza senza quel bisogno cervellotico di ingerire nella mente altrui, suggerire gli sbagli e le falle, il non detto e  tutti i micro e macro tranelli linguistici e psicologici.

Tutto è gettato sulla carta  come lo pensano gli attori; nudo e crudo, come ogni osceno che si rispetti: litigi, amplessi, masturbazioni, squadernati nella piena luce del giorno: Continua a leggere