
Un ritratto della poetessa combattente Yulia Drunina
di Francesco Cocorullo
La poetessa russa Yulia Vladimìrovna Drùnina (Юлия Друнина) è stata un fulgido esempio di poetessa combattente. Nata a Mosca il 10 maggio 1924 dal professore di storia Vladimir Pàvlovich Drunin e dalla libraia e insegnante di musica Mathilde Borìsovna Drunina, iniziò a scrivere versi intorno alle 11 primavere e sul finire degli anni Trenta riuscì a vincere un concorso letterario ottenendo la prima pubblicazione di un suo componimento su una rivista specializzata.
Quando nel 1941 l’URSS fu attaccata dalla Germania, la diciassettenne Yulia si diplomò al corso per infermiera impiegandosi come volontaria, per poi partire per il fronte dove riuscì a ottenere il grado di soccorritore militare, specializzata in trattamenti di emergenza per aiutare i feriti; dopo la morte del padre nel 1942, Yulia Drunina andò a Khabarovsk, nell’estremo oriente russo, dove si iscrisse alla scuola per diventare aviatrice, ma siccome desiderava combattere al fronte, non volle aspettare la conclusione del corso e preferì tornare al ruolo di soccorritore militare: venne dunque inviata al fronte bielorusso.
Durante quell’esperienza conobbe Zinaida Samsonova, un’altra soccorritrice che morì in combattimento nel 1944 e ricevette l’onorificenza postuma di Eroe dell’Unione Sovietica: a lei, Yulia dedicò la poesia “Zinka”, uno dei suoi lavori più sentiti. Nel 1943 rimase gravemente ferita quando una scheggia le trapassò il collo finendo a pochi millimetri dalla carotide: ricoverata a lungo in ospedale, iniziò a scrivere numerosi componimenti incentrati sulla guerra.
Sul fronte sentimentale, sposò nel 1944 il compagno di classe Nikolaj Starshinov e da lui ebbe due anni dopo la sua unica figlia, Elena. La famiglia visse in condizioni di estrema povertà nella periferia di Mosca: Drunina provò senza successo ad essere ammessa all’istituto letterario Gor’kij ma la sua poesia non fu ritenuta abbastanza matura. Dunque, tornò al fronte a combattere, stavolta nell’area baltica: solo al rientro, alla fine del 1944, ottenne l’ammissione all’Istituto come veterano di guerra. Pubblicò nel 1948 un libro di poesie e nel 1960 divorziò da Starshinov e sposò lo scrittore Alexej Kapler, che teneramente amò sino alla morte di lui nel 1979. A Kapler dedicò numerose poesie. Durante l’era della perestrojka fu una delle intellettuali elette al Consiglio supremo dell’URSS.
Ma nel 1991 cadde in una terribile depressione a causa della dissoluzione dello stato sovietico che la portò al desiderio di morire, non riconoscendo più nel nuovo stato gli ideali per i quali aveva lottato tutta la vita. Così il 24 novembre 1991 decise di suicidarsi soffocandosi con i gas di scarico della sua auto nel garage di casa. Fu sepolta accanto al secondo marito Alexej Kapler.
Qualche poesia di Yulia Drunina nella mia traduzione:
L’amore passa.
Il dolore passa.
I grappoli d’odio appassiscono.
Solo l’indifferenza –
Ed ecco il guaio –
si congela, come fosse un blocco di ghiaccio.
***
Ti stavo aspettando. E credevo. E sapevo:
Ho bisogno di credere per sopravvivere
Alle battaglie, ai cambiamenti, all’eterna stanchezza,
alle terribili tombe-rifugi.
Sono sopravvissuta. E l’incontro vicino Poltava.
Un maggio in trincea.
Non è comodo per i soldati.
Nei codici il diritto non scritto
Di un bacio, per cinque dei miei minuti.
Dividiamo in due parti un minuto di felicità,
Che ci sia un attacco di artiglieria,
che la morte da noi scivoli nei capelli.
Un’esplosione! Ed accanto c’è la tenerezza dei tuoi occhi
E l’affettuosa voce rotta.
Dividiamo in due parti un minuto di felicità
***
C’è un tempo per amare,
c’è per scrivere d’amore.
Perché chiedere:
“le mie lettere strappi”?
Per me è una gioia
che un uomo sia vivo sulla terra
il quale non vede
che è giunta l’ora della neve.
Da molto tempo ho portato
nella testa quella ragazza
Che ha bevuto abbastanza
Lacrime e gioia.
Non si deve chiedere:
“le mie lettere strappi!”
C’è un tempo per amare
E ce n’è uno per leggere d’amore.
***
Non mi importa
Non sono felice,
può darsi che domani
mi impiccherò.
Non ho mai posto un veto
Alla felicità,
alla disperazione,
alla tristezza.
A nessuna cosa
Ho posto un veto,
dal dolore io mai griderò.
Mentre vivo – combatto.
Non sono felice,
Ma non potranno spegnermi
Soffiando, come una candela.
***
Questa fu l’ultima poesia che ella scrisse, poco prima di porre fine alla sua vita:
Il cuore si copre di brina,
fa molto freddo nell’ora del giudizio…
Voi avete gli occhi come quelli di un frate,
Non ho mai incontrato occhi come questi.
Vado via, più non ho forze.
Solo da lontano
(sono ancora battezzata!)
Pregherò
Per quelli come Voi
Per gli eletti
Tenere la Rus’ oltre il burrone!
Non temo che voi di forze siate privi,
perciò scelgo la morte.
Come la Russia vola in discesa,
non posso e non voglio guardare!