Barbie: Life in plastic, it’s fantastic , but…

 

Superate alcune resistenze, dovute probabilmente alla mia idiosincrasia nei confronti del rosa, ma più opinatamene al fatto che Barbie di fatto rappresenta l’essenza stereotipata dell’americana californiana, bionda felice e ricca,  così come ce la racconta l’immaginario collettivo,  lontana dall’idea di una donna reale,  ho deciso di vedere il film della regista  Greta Gerwig, multiforme donna sceneggiatrice, attrice e regista di Piccole donne (2019)

Proverò a suddividere le mie considerazioni: la prima, meramente estetica riguarda la produzione, ben confezionata, adatta a un pubblico trasversale, ricca di “advertisement” piazzati con maestria e opportuna strategia di marketing.  Fin qui, nulla  da eccepire: la genealogia della bambola Mattel è rispettata in ogni dettaglio. In secondo luogo, la sceneggiatura:  non vorrei togliere piacere a chi non lo ha ancora  visto, ne dirò nelle linee essenziali:  in breve è una storia che per le sue finalità didascaliche, è divisa in due metà: il mondo di Barbie e il mondo reale che per strane congiunzioni immaginifiche si trovano in contatto.

L’assunto iniziale è che la Barbie ha rivoluzionato il mondo dei giochi infantili delle bambine dell’epoca, che oggi sarebbero “boomer”, perché ha dato loro un modello alternativo a quello delle mamme accudenti con i bambolotti. Carino l’esordio con apprezzata citazione Kubrickiana in salsa parodica. (2001 odissea nello spazio con tanto di intro )  In breve,  Barbieland diventa – secondo questo assunto inziale- un mondo ideale in cui le donne “possono essere tutto ciò che vogliono” , mamme, dottoresse, premi Nobel, avvocate, etc. Tutto è retto dalle donne, le istituzioni, i tribunali, le case che a loro appartengono. Le donne sono tutte amiche e tutto è molto patinato: begli abiti, belle case, belle acconciature. Insomma, è una sorta di mondo femminista in salsa glam. E gli uomini? Rappresentati da Ken, sono per lo più accessoriali e intervengono solo per dimostrare la loro inettitudine. In questo cosmo rosa confetto, però ben presto si staglia la lunga ombra della realtà: Barbie ha pensieri di morte, sviluppa la cellulite ed è depressa. Questo la porterà a visitare il mondo reale per porre rimedio a questa falla. Lei, lo stereotipo, non può soccombere. Questa, insomma, l’impalcatura che porta a confronto due posizioni che inizialmente manichee, tendono a screziarsi in considerazioni più complesse: il mondo di Barbie e quello reale si scontrano come si scontrano tutte le idee di perfezione iperuranica con il mondo reale.

Bibliovorax

Un fotogramma tratto dal film

Ecco, platonicamente il mondo delle idee(quello barbiesco) vede il mondo degli umani come un mondo strano, una copia imperfetta in cui le donne non hanno il ruolo assoluto, non sono al potere, non hanno una casa tutta loro, gli uomini considerano le donne “oggetti sessuali”. Di contro, Ken si lascia prendere dalla fascinazione del patriarcato, di un mondo dominato dagli uomini e dai cavalli in cui lui finalmente ritrova un ruolo. A questo rovesciamento, si aggiunge la verità delle bambine che detestano la bambola perfetta perché loro non saranno mai alte, bionde, con il fisico statuario. Si spiega così l’istinto di deturpazione della bambola che ha colto, me compresa, molte delle bambine che hanno avuto giocato con Barbie  con tanto di sfregi, tagli di capelli mutilazioni.

L’immaginario, insomma,  non ha sopperito alla realtà come era nell’assunto iniziale, così come tutti gli immaginari impossibili di perfezione sostitutiva, destinati a crollare con l’impatto dell’errore e dell’imperfezione. Il ragionamento però va oltre perché aziona una critica dell’utopismo (siamo  donne straordinarie solo nell’immaginazione e nel gioco della simulazione) e anche al mondo reale, che  costruito e modellato sull’uomo, è altrettanto suscettibile di essere letto nel segno di un utopismo che ha però radici storiche ben salde e con ricadute biopolitiche ben più tragiche del fumettistico scenario del film- Loro- gli uomini-  in fondo, lo hanno immaginato e realizzato.  Del resto, – ed  è un altro  livello di lettura-,  è possibile un mondo in cui gli uomini non hanno dimora e sono solo dei molluschi?

Dietro all’immaginario Barbieland si insinua, ed qui a mio parere il punto più interessante del film, una narrazione che non è prodotta dalle donne (il team di produzione della bambola è del tutto composto dagli uomini) sebbene abbia una grande madre originaria che è stata in seguito sostituita. Gli uomini hanno costruito un mondo irreale, relegato all’immaginario in cui coltivare il proprio sogno di gloria (da Barbie stereotipo si è passati  Barbie dottoressa, barbie incinta (poi tolta dalla produzione), barbie scrittrice etc. Tutte però devono essere straordinarie, fantastiche, sopra le righe. Nessuna può essere in definitiva una donna debole e fragile, che ha delle insicurezze;   Il successo, sì, ma a prezzo di una innaturale e deviante abnegazione.

Gli uomini sono relativi improduttivi, secondari. Casca il pero, l’edificio crolla.  L’autodeterminazione di una donna prevede anche lo scarto l’errore , l’ imperfezione, il diritto allo sbaglio alla cellulite alla depressione, al fallimento, al crollo. Include una relazione alla pari con l’altro che sia donna o uomo.  E’ una riflessione che, di rimando e forse più per conseguenza, tange anche il mondo maschile che viene fagocitato da Ken e poi rigettato come insulso soltanto dopo avere sperimentato l’egotismo, il mansplaining, il maschilismo, insomma tutte quelle cosette da maschi alfa che ancora oggi sperimentiamo sulla nostra pelle quotidianamente in modi e luoghi sempre più raffinati, orditi da uomini che hanno cavalcato l’onda dell’emancipazione femminile  solo per raggiungere la vetta più alta, e poter poi dire : “ma io amo le donne”, sono al loro servizio, le adoro mentre le dirigo, faccio selezione tra chi può stare in azienda, tra chi può darmi piacere, tra chi può servirmi per farmi sentire meno il peso della morte, quel senso che poteva innescare un cambiamento epocale come nella mente di Barbie, ma che forse oggi ci è scappato di mano. Insomma,  Barbara, c’è ancora tanto da fare, anche nella narrazione dell’autodeterminazione delle donne, ma grazie di avercelo fatto notare e con intelligente leggerezza.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *