di Emilia Pietropaolo
Il titolo del romanzo dell’autrice albanese Anilda Ibrahimi, Rosso come una sposa, ci dà un’indicazione sul contenuto del romanzo, diretto alla condizione femminile che coinvolge tre generazioni nel remoto villaggio di Kaltra.
La condizione femminile è oggetto di studi e letterature, solitamente legata al setting urbano, quello della Città, invece qui, il tempo e lo spazio di queste donne è racchiuso in un villaggio. Il villaggio rappresenta il luogo del folclore, delle tradizioni e soprattutto lo spazio conchiuso in sé stesso come un in cerchio.
In Rosso come una sposa di Anilda Ibrahimi, cosi come nei romanzi dello scrittore jugoslavo Ivo Andrić, lo spazio del villaggio ha la funzione di descrivere il ruolo della donna in una situazione subalterna all’uomo, perché se in Albania vige la legge del Kanun, come si può vedere nel romanzo di Ismail Kadaré Aprile Spezzato, ai danni dell’uomo per un debito di sangue, occorre capire però cosa accade alle donne.
Il romanzo si apre con un matrimonio, dovrebbe essere un giorno di festa, invece come Ifigenia, Saba si sacrifica per la famiglia, però al contrario di Ifigenia, il suo sacrificio è consapevole, sa perfettamente a cosa sta andando incontro: al ruolo di moglie sostituta. Anilda Ibrahimi con la sua prosa scorrevole non ci priva di nessun dettaglio, anzi.
Il mese di Settembre rappresenta il passaggio dall’età adolescenziale a quella adulta, come il mese della sofferenza di Saba che, vestita di rosso, segue con gli occhi malinconici la sua festa di matrimonio senza provare neanche a lottare contro quel sacrificio, accettato come destino.
Saba non è la prima della famiglia a sacrificarsi, in precedenza è stata la sorella Sultana, morta di parto. Le donne di questa famiglia si sacrificano per gli uomini ma nessuno si sacrifica per loro. Interiorizzano il loro ruolo, comprendono che il loro corpo è progettato per procreare, per dare prosperità alla famiglia e per mantenere lo stato della casa e senza ricavarci niente.
Il sacrificio si compie e si vede dal sangue ed è proprio il sangue che dona valore alla donna, la prima notte di nozze, che non diventa un momento privato e d’intimità, rappresenta invece, il momento della prova della virilità dell’uomo e della verginità della donna.
La mattina il lenzuolo è in cortile sotto gli occhi di tutti. Con la macchia rossa al centro come una ferita” (p.9)
La particolarità di questo romanzo è che è ambientato nel Novecento, quindi assistiamo all’evoluzione della condizione e del corpo femminile nel tempo, si comincia con Saba e termina con sua nipote Dora, che cerca di cambiare il suo destino. Il destino di queste donne cambia in base all’uomo che “scelgono”.
Consideriamo il caso di Saba: lei accetta di diventare la moglie sostituta della sorella, di di stare accanto a un uomo come Omer, un ubriacone violento, che amava la moglie Sultana (capita anche questo, a volte le donne di questa famiglia trovano anche il “vero” amore) e senza dire niente, e la sua prova di donna viene messa continuamente in discussione, a partire dal suo corpo che non è robusto, ma fragile, piccolino. La misoginia è evidente, si loda il maschio con uno sparo di fucile e si tace con la femmina. Il fucile appeso al chiodo è il momento drammatico della vita della donna, perché quel fucile per non ledere all’umore del marito, deve sparare.
Tra un maschio e l’altro capitava anche una femmina. La cosa non turbava nessuno, spesso passava inosservata. Il maschio che veniva dopo cancellava le tracce di quei parti silenziosi. Le cancellava nascendo. Le cancellavano anche gli spari del fucile con il quale il padre di casa, orgoglioso, avvertiva il paese”. (p.11)
Il corpo non appartiene interamente alla donna, cambia padrone, non solo si passa dal padre al marito ma diventa oggetto anche della società. Come il figlio di Bedena, sorella di Saba, Mysafir che, un giorno cede ai suoi impulsi animaleschi senza pensare alle conseguenze. Attacca la sua vicina sposata, la violenta, e per questo il marito gli taglia il naso non solo a lui ma anche alla moglie, accusandola di kurvëria (atteggiamento associato alla prostituzione).
La donna è rovinata, seppure la colpa non fosse interamente sua, a causa dell’uomo, diventa il suo corpo e la sua persona oggetto di insulti. La Kurvëria diventa, in questo romanzo, il simbolo del terrore di queste donne perché, non solo penalizza la donna, ma anche la famiglia e i parenti futuri di lei. E per questo, l’uomo non ama le figlie femmine, per questo non si festeggia la sua nascita.
La bellezza femminile parte dai capelli e dal corpo è un rituale solo per la donna, questo significa mancare alle faccende domestiche, significa suscitare invidia. È quello che succede ad Esme, la sorella di Saba; questo, probabilmente è uno dei racconti più malinconici del romanzo. La vanità femminile, se in un villaggio albanese come Kaltra, diventa oggetto d’invidia da parte delle donne, costitusice per gli uomini oggetto di kurvëria.
Esme era la sorella più bella, la sorella strana che ad ogni stagione portava sempre con sé l’ombrello, che si dedicava alla cura della sua persona a partire dal corpo facendosi la ceretta e a risciacquarsi i capelli con il limone ma soprattutto a prendersi cura delle sue figlie, spazzolando loro ogni giorno i capelli. A causa della sua vanità, viene accusata di Kurvëria e senza neanche uno straccio di prova ma Esme accetta il suo destino in silenzio.
Esme era innamorata del marito e lui di lei ma questo non è bastato al villaggio, tramite una lettera il marito decide di ripudiare la moglie. Il ripudio suona familiare, perché non accade solo in Albania ma anche in Arabia Saudita;. Esme diventa il nome da sussurrare a bassa voce, il nome di una donna che non doveva essere menzionato, che non poteva neanche vedere le figlie, per non disonorare il loro futuro. Il ruolo della donna è in una posizione di stasi in casa e in pubblico, rispetto all’uomo, è oggetto di desiderio e di umiliazione. Però i tempi cambiano e cambiano anche le donne.
Il rosso come una sposa diventa poi nero, sinonimo di lutto. Accompagnando i tempi, le donne accompagnano il loro modo di pensare e di vestirsi e soprattutto diventano anche donne in carriera, donne che scelgono anche di non fare figli. Questo succede ad Afrodita, un’altra sorella, lei è la sorella che se ne va dal villaggio per trasferirsi nella capitale per comportarsi ‹‹alla francese››.
Afrodita in una maniera non proprio consapevole, accetta di ingoiare delle pillole anticoncezionali, solo perché il marito non accettava i figli. Ancora una volta il destino di una donna diventa destino dell’uomo.
Suddiviso in due parti, nella prima c’è la voce narrante di Saba, attraverso lei assistiamo alle sorti delle donne di quella famiglia e alla sua di sorte, che passa dall’essere una bambina solo ossa e fragile che seguiva tutti e tutto come un’ombra al diventare padrona del suo destino, diventa matriarca. Nella seconda parte, invece, la voce narrante è quella di sua nipote Dora, figlia di suo figlio Luan, quel figlio deriso da tutti perché nato biondo con gli occhi chiari.Quando una donna può cominciare a riappropriarsi del proprio destino se non del proprio corpo?
È lei ormai la trave che tiene la casa, quindi che piaccia o no a sua suocera Saba non è più una gallina frastornata, bensì una padrona di casa che risponde per le rime.(p.41)
In questo villaggio remoto di Kaltra, una donna può acquisire potere quando fa sposare i suoi figli e quando diventa anziana, infatti, le donne non vedono l’ora di arrivare a quel momento, per riappropriarsi almeno un poco del potere e di stare in una posizione di stasi. Le donne di questa famiglia cominciano a lavorare e a decidere chi sposare ma non sempre diventa una situazione facile, soprattutto nel periodo comunista.
Nikolaj Gavrilovič Černyševskij nel suo romanzo direi di formazione, Che fare? (Что делать?, 1902), per aggirare la censura inizia il romanzo facendo credere ai censori di aver scritto un romanzo che parlasse di un triangolo amoroso, tutt’altro. In quel romanzo si parla dell’emancipazione femminile, si parla dell’eroismo di Vera Pavlovna, si parla del mutamento della società russa, dal punto di vista femminile. Vera Pavlovna come Dora decide chi sposare e quando, sceglie il suo destino.
Voi mi chiamate sognatrice, voi volete sapere quel che io domando alla vita? Non voglio né dominare, umiliarmi, non voglio ingannare o infliggermi, non voglio guardare al giudizio altrui, né conseguire quel che altri mi suggeriscono e che a me non serve. (Che fare?, p. 40)
Anilda Ibrahimi in Rosso come una sposa, evidenzia la condizione femminile nel villaggio di Kaltra e lo fa senza celare alcun dettaglio, utilizza una lingua che non è la sua in uno stile diretto e senza sotterfugi, quando si parla della donna non c’è bisogno di usare un linguaggio aulico. Quel colore rosso che simboleggia la passione, in questo caso, rappresenta il tormento femminile, il matrimonio e il sacrificio.
“Per il potere che si acquisiva diventando suocere, spesso le donne passavano la vita aspettando con gioia d’invecchiare” (p.42)
BIBLIOGRAFIA
Anilda Ibrahimi, rosso come una sposa, Einaudi, Torino, 2008
Ivo Andrić, I tempi di Anika, Adelphi, Milano, 2006, trad. Lionello Costantini
Ismail Kadare, Aprile spezzato, La nave di Teseo, Milano, 2019, trad. Liljana Cuka Maksuti
Nikolaj Gavrilovič Černyševskij, Che fare?, Garzanti, Milano, 1986, trad. Federico Verdinois