ROBERT ROZHDESTVENSKIJ: IL POETA INNAMORATO

 

 

di Francesco Cocorullo

 

Un ritratto del poeta durante il festival di poesia dedicato a Puskin

Tra i principali poeti e cantanti russi degli anni ’50 e ’60, Robert Ivanovic Rozhdèstvenskij nacque a Kosikha, in Siberia il 20 giugno 1932; il suo vero cognome era Petkevic, suo padre Stanislav era un impiegato polacco dell’Intelligence sovietica mentre la madre Vera Fedorova era direttrice di una scuola elementare. I genitori divorziarono quando il piccolo Robert aveva solo cinque anni.

 

Alla morte del papà nel 1945, avvenuta al fronte in Lettonia, la madre sposò l’ufficiale Ivan Rozhdestvenskij, e il giovane poeta cambiò patronimico e cognome proprio in seguito alle seconde nozze della mamma.

Nel 1950 provò ad entrare all’Istituto letterario Maksim Gor’kij di Mosca ma non fu ammesso: provò nuovamente l’anno successivo riuscendo ad accedervi. Durante il percorso di studi pubblicò alcune raccolte poetiche e soprattutto il poema “Amore mio” (1956). Nel 1955 conobbe lo studente del conservatorio Alexander Flyarkovskij, col quale scrisse la sua prima canzone “La tua finestra”.

Ma l’incontro che cambiò la sua vita avvenne nel 1956 quando incontrò la compagna di classe Alla Borisovna Kireeva: se ne innamorò quasi subito e iniziò una lunga storia sfociata poi nel matrimonio. Fu l’unica donna della sua vita: l’amore
tra Robert e Alla durò 41 anni, fino alla morte del poeta.

Rozhdestvenskij vinse in carriera numerosi riconoscimenti per la sua attività di poeta e cantante tra cui due premi Komsomol (1970-72) e un premio di
Stato dell’Unione Sovietica (1979). Centro di molte sue poesie, il grande amore verso la moglie Alla che gli diede due figlie, Ekaterina e Ksenia.

All’inizio degli anni ’90, a Rozhdestvenskij è stato diagnosticato un tumore al cervello: nonostante le cure, un infarto lo colse il 19 agosto 1994 ponendo fine alla sua esistenza. Fu sepolto nel cimitero di Peredelkino, presso Mosca. Alla moglie disse poco prima di spirare: “per favore, qualunque cosa accada, vivi, vivi sempre
felicemente”.

Alcune mie traduzioni di sue poesie:

Grazie, vita, per il giorno che di nuovo giunge
Per il grano che sta maturando, ed i bimbi che stanno crescendo.
Grazie a te, vita, per tutti i miei cari
che vivono in questo enorme mondo.
Grazie, vita, per questa generosa epoca
In me risuonava sia con grandezza sia con dolore;
per la larghezza delle tue vie, nelle quali l’uomo,
ogni cosa sperimentando, ritrova sé stesso.
Per il fatto che tu sia un fiume senza sponde,
per ogni tua primavera ed ogni tuo inverno,
per tutti gli amici e perfino per i nemici,
grazie, vita. Grazie di tutto!
Per le lacrime, ma in realtà per la felicità,
per il fatto che tu non mi abbia mai compatito,
per ogni istante in cui vivo,
ma non per quello in cui di vivere terminerò.
Grazie, vita, io sono in debito con te,
per la forza che avevo ieri e che avrò domani,

Per tutto ciò di cui ho ancora il tempo e riuscirò a fare
grazie vita, davvero grazie.
***

Ad Aljona*

Io e te ci apparteniamo, ci apparteniamo
In un giorno che per sempre ricorderemo.
Come le parole appartengono alle labbra.
Con la gola secca – l’acqua.
Ci apparteniamo, come gli uccelli al cielo.
Come la terra con la tanto attesa neve
Appartiene all’inizio dell’inverno,
Così io appartengo a te.
Noi ci apparteniamo, senza nulla sapere
Del bene o del male.
Ed in eterno è appartenuto a noi
Quel periodo sul calendario.
*diminutivo di Alla, la moglie
***
Sai,
vorrei che ogni parola
di questa mattutina poesia
d’improvviso passi tra le tue mani,
come
un malinconico ramo di lilla.
Sai,
vorrei che ogni riga
all’improvviso divenuta fuori misura
e l’intera strofa,
frantumata in pezzi,
riesca a far breccia nel tuo cuore.
Sai,
vorrei che ogni lettera
ti guardasse con amore.
E che sia piena di sole
Come se fosse
Una goccia di rugiada su una palma d’acero.
Sai,
vorrei che una tempesta di neve di febbraio
ai tuoi piedi si distenda docile.
E vorrei
che ci amassimo l’un l’altro
per tutto il tempo

che ci resta da vivere.
***
Discorso origliato
-Ti sei azzuffata di nuovo nel cortile?
-Si, mamma, ma non ho pianto
Crescerò –
Imparerò a fare la marinaia
Sono già in bagno
Ho nuotato!
-Oddio! Non sei una bimba, sei un disastro!
Non ho più forze.
-Mamma, quando crescerò?
-Crescerai! Per ora mangia una polpetta
-Mamma, compriamo un cavallo?
-Un cavallo?? Cosa sta accadendo?
-Mamma, mi prenderanno a fare la pilota?
-Ti prenderanno. Dove vuoi che vadano?
Diavoletta, tu puoi tirare fuori l’anima da ognuno!
-Mamma, ma è vero che verrà la guerra e non potrò più crescere?

YULIA DRUNINA: UNA POETESSA COMBATTENTE

Un ritratto della poetessa combattente Yulia Drunina

di Francesco Cocorullo

La poetessa russa Yulia Vladimìrovna Drùnina (Юлия Друнина) è stata un fulgido esempio di poetessa combattente. Nata a Mosca il 10 maggio 1924 dal professore di storia Vladimir Pàvlovich Drunin e dalla libraia e insegnante di musica Mathilde Borìsovna Drunina, iniziò a scrivere versi intorno alle 11 primavere e sul finire degli anni Trenta riuscì a vincere un concorso letterario ottenendo la prima pubblicazione di un suo componimento su una rivista specializzata.

Quando nel 1941 l’URSS fu attaccata dalla Germania, la diciassettenne Yulia si diplomò al corso per infermiera impiegandosi come volontaria, per poi partire per il fronte dove riuscì a ottenere il grado di soccorritore militare, specializzata in trattamenti di emergenza per aiutare i feriti; dopo la morte del padre nel 1942, Yulia Drunina andò a Khabarovsk, nell’estremo oriente russo, dove si iscrisse alla scuola per diventare aviatrice, ma siccome desiderava combattere al fronte, non volle aspettare la conclusione del corso e preferì tornare al ruolo di soccorritore militare: venne dunque inviata al fronte bielorusso.

Durante quell’esperienza conobbe Zinaida Samsonova, un’altra soccorritrice che morì in combattimento nel 1944 e ricevette l’onorificenza postuma di Eroe dell’Unione Sovietica: a lei, Yulia dedicò la poesia “Zinka”, uno dei suoi lavori più sentiti. Nel 1943 rimase gravemente ferita quando una scheggia le trapassò il collo finendo a pochi millimetri dalla carotide: ricoverata a lungo in ospedale, iniziò a scrivere numerosi componimenti incentrati sulla guerra.

Sul fronte sentimentale, sposò nel 1944 il compagno di classe Nikolaj Starshinov e da lui ebbe due anni dopo la sua unica figlia, Elena. La famiglia visse in condizioni di estrema povertà nella periferia di Mosca: Drunina provò senza successo ad essere ammessa all’istituto letterario Gor’kij ma la sua poesia non fu ritenuta abbastanza matura. Dunque, tornò al fronte a combattere, stavolta nell’area baltica: solo al rientro, alla fine del 1944, ottenne l’ammissione all’Istituto come veterano di guerra. Pubblicò nel 1948 un libro di poesie e nel 1960 divorziò da Starshinov e sposò lo scrittore Alexej Kapler, che teneramente amò sino alla morte di lui nel 1979. A Kapler dedicò numerose poesie. Durante l’era della perestrojka fu una delle intellettuali elette al Consiglio supremo dell’URSS.

Ma nel 1991 cadde in una terribile depressione a causa della dissoluzione dello stato sovietico che la portò al desiderio di morire, non riconoscendo più nel nuovo stato gli ideali per i quali aveva lottato tutta la vita. Così il 24 novembre 1991 decise di suicidarsi soffocandosi con i gas di scarico della sua auto nel garage di casa. Fu sepolta accanto al secondo marito Alexej Kapler.

Qualche poesia di Yulia Drunina nella mia traduzione:

L’amore passa.

Il dolore passa.

I grappoli d’odio appassiscono.

Solo l’indifferenza –

Ed ecco il guaio –

si congela, come fosse un blocco di ghiaccio.

 

***

 

Ti stavo aspettando. E credevo. E sapevo:

Ho bisogno di credere per sopravvivere

Alle battaglie, ai cambiamenti, all’eterna stanchezza,

alle terribili tombe-rifugi.

Sono sopravvissuta. E l’incontro vicino Poltava.

Un maggio in trincea.

Non è comodo per i soldati.

Nei codici il diritto non scritto

Di un bacio, per cinque dei miei minuti.

Dividiamo in due parti un minuto di felicità,

Che ci sia un attacco di artiglieria,

che la morte da noi scivoli nei capelli.

Un’esplosione! Ed accanto c’è la tenerezza dei tuoi occhi

E l’affettuosa voce rotta.

Dividiamo in due parti un minuto di felicità

 

***

C’è un tempo per amare,

c’è per scrivere d’amore.

Perché chiedere:

“le mie lettere strappi”?

Per me è una gioia

che un uomo sia vivo sulla terra

il quale non vede

che è giunta l’ora della neve.

Da molto tempo ho portato

nella testa quella ragazza

Che ha bevuto abbastanza

Lacrime e gioia.

Non si deve chiedere:
“le mie lettere strappi!”

C’è un tempo per amare

E ce n’è uno per leggere d’amore.

 

***

Non mi importa

Non sono felice,

può darsi che domani

mi impiccherò.

Non ho mai posto un veto

Alla felicità,

alla disperazione,

alla tristezza.

 

A nessuna cosa

Ho posto un veto,

dal dolore io mai griderò.

Mentre vivo – combatto.

Non sono felice,

Ma non potranno spegnermi

Soffiando, come una candela.

 

***

Questa fu l’ultima poesia che ella scrisse, poco prima di porre fine alla sua vita:

 

Il cuore si copre di brina,

fa molto freddo nell’ora del giudizio…

Voi avete gli occhi come quelli di un frate,

Non ho mai incontrato occhi come questi.

 

Vado via, più non ho forze.

Solo da lontano

(sono ancora battezzata!)

Pregherò

Per quelli come Voi

Per gli eletti

Tenere la Rus’ oltre il burrone!

Non temo che voi di forze siate privi,

perciò scelgo la morte.

Come la Russia vola in discesa,

non posso e non voglio guardare!

 

 

RHITA BENJELLOUN- Spettatrice della vita-

di Francesco Cocorullo

Cari amici, vi presento la poetessa marocchina Rhita Benjelloun, nata nel 1990 a Fes, è poetessa e creatrice. di gioielli. Inizia a scrivere versi all’età di undici anni, la sua prima raccolta poetica “Spettatrice di vita” è pubblicata nel 2017; per Rhita la poesia è un canto dell’anima, i versi sono ispirati dalla sua esperienza di vita, dalla sua storia. La definisce “un canto che culla lo spirito”, che “origina dal cuore”.
Eccovi tre componimenti nella mia versione italiana:

 

 

La mia corona

Uomo coraggioso dal portamento molto saggio
Ampiamente attivo nonostante la tua età
Tanti sacrifici, tanto coraggio
Per il benessere della tua piccola realtà
Tu fosti per me l’esempio da seguire
Imitavo i tuoi gesti, le tue parole e le tue stesse risate
Il mio idolo, così ti chiamo
L’uomo verso cui provo un amor sovrumano
La giovincella che fui, io te ne faccio dono
Tu ci hai sempre regalato felicità, amore e gioia
Papà sei il mio ideale, sei la mia retta via

La notte
L’intimo nel quale mi confido
La culla dei miei pensieri e delle mie noie
Io ti sarò Riconoscente
Dalla genesi fino alla tomba
Tu che la mia avventatezza hai domato
Che tanta stima e attenzione mi hai donato
Che mi hai saputo ascoltare e preservare i miei segreti
Che eri complice d’un sogno ora realizzato
Nella tua calma io trovo rifugio
Nelle tue tenebre sono confusa
E nel tuo regno tu sei la mia musa

Silenzio

…Silenzio d’una parola, silenzio d’una lacrima
Silenzio d’un brivido da sotto una trama
D’una rabbia rinchiusa sul fondo
Del buio, isolata, nel profondo abisso
Silenzio d’un decennio
Di terrore che li ha separati
Silenzio d’anime lasciate del tutto
Di dittatori avidi soprattutto…

 

Ondine Valmore

 

di  Francesco Cocorullo

Marceline Junie Hyacinthe Valmore, detta Ondine, nacque a Lione il 2 novembre 1821 dalla poetessa Marceline Desbordes-Valmore e da François Lanchatin, detto Valmore, nonostante anche il letterato Henry Hyacinthe de Latouche pensasse di esserne il padre. Difficile la sua infanzia, affetta da problemi respiratori
e polmonari fin dall’età di dodici anni, verso i venti i suoi problemi si aggravarono, tanto da costringere la mamma ad inviarla a Londra da un medico che aveva un’ottima reputazione, il dottor Curie.Purtroppo, questi si rivelò un ciarlatano e la povera Ondine peggiorò rapidamente; ammalata di tubercolosi, trascorse il resto dei suoi anni tra un ricovero e l’altro in ospedali e sanatori, fino alla morte a soli 31 anni, il 12 febbraio 1853 tra le braccia della madre a Passy.

Ragazza dotata di grande talento letterario, imparò presto il latino e l’inglese, traducendo molte opere, tra cui quelle di Shakespeare; pressata dalla madre affinché si sposasse, accettò la proposta dell’avvocato Jacques Langlais. Dalle nozze nacque un figlio, che ben presto rimase orfano a causa della prematura morte di Ondine. La giovane donna ha pubblicato alcune raccolte poetiche, vivendo con una spada di Damocle sulla testa a causa della precaria salute, nei suoi versi sono molto presenti i temi dell’inverno, dell’autunno, del ciclo della vita. Ecco alcune poesie nella mia traduzione:

Addio all’infanzia

Addio miei giorni infantili, effimero paradiso!
Fiore che brucia già lo sguardo del sole,
Fonte dormiente dove ride una dolce chimera,
Addio! Fugge l’alba. Giunge il momento del risveglio!
Ho invano cercato di trattenere le tue ali
Sul mio cuore che batteva, dicendo: “Ecco il giorno!”
Ho invano cercato tra i miei giochi fedeli
Di prolungare il mio destino nel tuo calmo soggiorno;
Giunta è l’ora, addio mia primavera, selvaggio fiore;
Domani questa allegria un ricordo sarà.
Addio! Ecco l’estate; temo il temporale;
Mezzogiorno porta il fulmine, e mezzogiorno arriverà.
Autunno
Vedi questo frutto, ogni giorno più tiepido e vermiglio,
Dolcemente gonfiarsi sotto i raggi del sole!
La sua linfa ad ogni istante più ricca e feconda,
Lo riempie, diremmo, di voluttà profonda.
Sotto i fuochi d’un sole invisibile e potente,
Il nostro cuore assomiglia a questo frutto che matura,
Di succhi più abbondanti ogni giorno inebriato,
Felice di vivere, or maturato.
L’autunno giunge: il frutto si svuota e cadrà
Ma la sua buccia è viva e di germogliare chiederà.
L’età arriva, il cuore si ferma in silenzio,
Ma, per l’estate promessa, il suo seme conserverà.

La Voce

La neve da lontano copre la nuda terra;
I deserti boschi si estendono verso le nubi
I loro grandi rami che, neri e separati,
d’alcuna foglia ancora non sono adornati;
Dorme la linfa e la gemma senza forza
È per molto tempo sotto la corteccia intorpidita;
L’uragano soffia annunciando l’inverno
Che gela l’orizzonte scoperto.
Ma io sotto invisibili fiamme ho rabbrividito
Voce di primavera che muove le anime,
Quando tutto è freddo e morto intorno a noi,
Voce di primavera, o voce, da dove vieni?….
Quando in primavera
Quando in primavera la verde foglia
Prova a adornare i rami,
Quando dal seno della terra aperta
Si innalzano alberi nuovi,
Quando tutto sorride, quando tutto si rischiara,
Quando la stella tiepida e trionfante
Pare misurare la sua luce
Con la forza dell’occhio d’un infante:
Amo vedere la bambina,
fresco fiore, correre per i prati.
Amo vedere la sua corona dove brilla (sic)
I primi bottoni colorati.
Ammirare il bimbo che si è lanciato
Sotto il cielo privo di vento
Amo il Dio che ha l’infanzia ha creato
E che gli dona la primavera.