Inizia un nuovo viaggio per Bibliovorax, con una rubrica che ho il piacere di curare e che si occuperà di poesia. Proporre la poesia, oggi, può sembrare un azzardo, sotto vari aspetti; eppure la sua capacità indagatrice e la sua forza evocativa sono elementi che la rendono un mezzo potente, atavico e al contempo attualissimo, sicuramente necessario.
La rubrica sarà occasione di incontro con voci nuove del panorama letterario e con le loro opere, edite negli ultimi anni.
Per aprire questo spazio ho scelto “I limoni” di Eugenio Montale: trovo che il senso di cosa sia la poesia e cosa possa significare, ieri come oggi, sia racchiuso in questo testo. Parte da una lucida e provocatoria dichiarazione della condizione autoriale, per intraprendere poi un cammino di scoperta che diventa acquisizione di consapevolezza.
Muoversi tra i tentacoli della vita (e della storia), infatti, è come percorrere, curiosi e guardinghi, i vicoli di una città che, lo capiamo nel corso del viaggio, è la nostra. Batteremo strade sconosciute, ne perlustreremo dedali poco illuminati e forse anche sporchi, ne ameremo angoli sconosciuti agli altri. Coglieremo ortiche e minuscoli boccioli lungo il ciglio del selciato, facendoci male e bene. Scambieremo ombre per presenze, troveremo l’altro nell’Altro e viceversa. Nel peregrinare che sfianca, poi, un giorno, scopriremo, dietro un portone offeso dal tempo e dall’incuria, uno squarcio di giallo, uno squillo di solarità.
Mi piace cominciare così, da questo manifesto di poetica e di umanità.
I limoni
Ascoltami, i poeti laureati
si muovono soltanto fra le piante
dai nomi poco usati: bossi ligustri o acanti.
lo, per me, amo le strade che riescono agli erbosi
fossi dove in pozzanghere
mezzo seccate agguantano i ragazzi
qualche sparuta anguilla:
le viuzze che seguono i ciglioni,
discendono tra i ciuffi delle canne
e mettono negli orti, tra gli alberi dei limoni.
Meglio se le gazzarre degli uccelli
si spengono inghiottite dall’azzurro:
più chiaro si ascolta il susurro
dei rami amici nell’aria che quasi non si muove,
e i sensi di quest’odore
che non sa staccarsi da terra
e piove in petto una dolcezza inquieta.
Qui delle divertite passioni
per miracolo tace la guerra,
qui tocca anche a noi poveri la nostra parte di ricchezza
ed è l’odore dei limoni.
Vedi, in questi silenzi in cui le cose
s’abbandonano e sembrano vicine
a tradire il loro ultimo segreto,
talora ci si aspetta
di scoprire uno sbaglio di Natura,
il punto morto del mondo, l’anello che non tiene,
il filo da disbrogliare che finalmente ci metta
nel mezzo di una verità.
Lo sguardo fruga d’intorno,
la mente indaga accorda disunisce
nel profumo che dilaga
quando il giorno piú languisce.
Sono i silenzi in cui si vede
in ogni ombra umana che si allontana
qualche disturbata Divinità.
Ma l’illusione manca e ci riporta il tempo
nelle città rumorose dove l’azzurro si mostra
soltanto a pezzi, in alto, tra le cimase.
La pioggia stanca la terra, di poi; s’affolta
il tedio dell’inverno sulle case,
la luce si fa avara – amara l’anima.
Quando un giorno da un malchiuso portone
tra gli alberi di una corte
ci si mostrano i gialli dei limoni;
e il gelo del cuore si sfa,
e in petto ci scrosciano
le loro canzoni
le trombe d’oro della solarità.
Da Ossi di seppia, Piero Gobetti ed.1925
Gabriella Grasso è nata a Catania nel 1971 ed è vissuta a Linguaglossa,a Catania, a Bassano Del Grappa e ad Acireale, dove attualmente risiede e dove insegna lettere nella scuola secondaria di I grado. E’ studiosa di linguistica, in particolar modo della Lingua Italiana dei Segni (LIS), di cui è interprete e su cui ha pubblicato alcuni contributi(Edizioni del Cerro, Zanichelli). E’appassionata di musica, di letteratura e, soprattutto, di poesia; collabora con il blog letterario “Letteratitudine” e con la rivista letteraria “Lunarionuovo”. Ha pubblicato la silloge “Quale confine” nel dicembre 2019, per le Edizioni Kolibris (Ferrara)