Bovarismi contemporanei (effetti collaterali della rilettura di Flaubert)

Digressione

Siamo tutti dentro, bambini adulti, animali, oggetti. Compressi in questa cosa mostruosa e poetica che si chiama casa. Viaggiano in rete satire sul matrimonio, discorsi che ribaltano la dimensione idilliaca in una perversa e tortuosa prigionia a due, dove le idiosincrasie si esasperano e si reclama uno spazio proprio.
Sarà questo il banco di prova di ogni solida unione contratta secondo i crismi? (a ciascuno il proprio rituale). Finchè Covid non vi separi, chioserebbe il buontempone di turno.


Con un volo di fantasia (che in questi giorni galoppa come i selvaggi cavalli delle steppe asiatiche) ho pensato all’eroina più rappresentativa della crisi matrimoniale: Emma Bovary, anzi Emma Roualt in Bovary , se permettete.
Ma non l’ho pensata come ce la tratteggia quel genio di Flaubert, fedifraga in libertà, l’ho immaginata chiusa in quarantena con suo marito Charles o se preferite più prosaicamente, CARLO. Beh, allora mi sono resa conto, con chiarezza, che lo scrittore avevano già iniziato a creare questi cortocircuiti matrimoniali senza fare ricorso all’immaginario di claustrofobia che in questi due mesi ha caratterizzato tutte le narrazioni del quotidiano.


Non servivano dei decreti, un periodo di isolamento prescrittivo. Perché il dramma della rottura dell’ idillio familiare, vera spina nel fianco del romanzo borghese e realista, si era già consumato all’interno della casa e delle sue abitudini ossessive, negli oggetti dell’altro, nei gesti ripetuti, ordinari, nei rumori molesti. E’ durante la cena, tipico rituale di condivisione matrimoniale che Emma incomincia a destestare il marito:

𝑀𝑎 𝑒𝑟𝑎 𝑠𝑜𝑝𝑟𝑎𝑡𝑡𝑢𝑡𝑡𝑜 𝑎𝑙𝑙’𝑜𝑟𝑎 𝑑𝑒𝑖 𝑝𝑎𝑠𝑡𝑖 𝑐ℎ𝑒 𝑙𝑒𝑖 𝑛𝑜𝑛 𝑛𝑒 𝑝𝑜𝑡𝑒𝑣𝑎 𝑝𝑖𝑢̀, 𝑖𝑛 𝑞𝑢𝑒𝑙𝑙𝑎 𝑠𝑡𝑎𝑛𝑧𝑢𝑐𝑐𝑖𝑎 𝑎 𝑝𝑖𝑎𝑛𝑡𝑒𝑟𝑟𝑒𝑛𝑜, 𝑐𝑜𝑛 𝑙𝑎 𝑠𝑡𝑢𝑓𝑎 𝑐ℎ𝑒 𝑓𝑎𝑐𝑒𝑣𝑎 𝑓𝑢𝑚𝑜, 𝑙𝑎 𝑝𝑜𝑟𝑡𝑎 𝑐ℎ𝑒 𝑐𝑖𝑔𝑜𝑙𝑎𝑣𝑎, 𝑖 𝑚𝑢𝑟𝑖 𝑐ℎ𝑒 𝑡𝑟𝑎𝑠𝑢𝑑𝑎𝑣𝑎𝑛𝑜, 𝑙𝑒 𝑚𝑎𝑡𝑡𝑜𝑛𝑒𝑙𝑙𝑒 𝑢𝑚𝑖𝑑𝑒; 𝑡𝑢𝑡𝑡𝑜 𝑙’𝑎𝑚𝑎𝑟𝑜 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑎 𝑣𝑖𝑡𝑎 𝑙𝑒 𝑠𝑒𝑚𝑏𝑟𝑎𝑣𝑎 𝑠𝑐𝑜𝑑𝑒𝑙𝑙𝑎𝑡𝑜 𝑛𝑒𝑙 𝑠𝑢𝑜 𝑝𝑖𝑎𝑡𝑡𝑜, 𝑒 𝑖𝑛𝑠𝑖𝑒𝑚𝑒 𝑐𝑜𝑙 𝑓𝑢𝑚𝑜 𝑑𝑒𝑙 𝑙𝑒𝑠𝑠𝑜, 𝑠𝑎𝑙𝑖𝑣𝑎𝑛𝑜 𝑑𝑎𝑙 𝑓𝑜𝑛𝑑𝑜 𝑑𝑒𝑙 𝑠𝑢𝑜 𝑎𝑛𝑖𝑚𝑜 𝑎𝑙𝑡𝑟𝑒 𝑣𝑎𝑚𝑝𝑎𝑡𝑒 𝑑𝑖 𝑠𝑓𝑖𝑛𝑖𝑡𝑒𝑧𝑧𝑎. 𝐶𝑎𝑟𝑙𝑜 𝑒𝑟𝑎 𝑙𝑒𝑛𝑡𝑜 𝑎 𝑚𝑎𝑛𝑔𝑖𝑎𝑟𝑒 ; 𝑙𝑒𝑖 𝑠𝑔𝑟𝑎𝑛𝑜𝑐𝑐ℎ𝑖𝑎𝑣𝑎 𝑞𝑢𝑎𝑙𝑐ℎ𝑒 𝑛𝑜𝑐𝑐𝑖𝑜𝑙𝑎, 𝑜𝑝𝑝𝑢𝑟𝑒 𝑎𝑝𝑝𝑜𝑔𝑔𝑖𝑣𝑎 𝑖 𝑔𝑜𝑚𝑖𝑡𝑖, 𝑠𝑖 𝑑𝑖𝑣𝑒𝑟𝑡𝑖𝑣𝑎 𝑎 𝑡𝑟𝑎𝑐𝑐𝑎𝑖𝑟𝑒 𝑐𝑜𝑛 𝑙𝑎 𝑝𝑢𝑛𝑡𝑎 𝑑𝑒𝑙 𝑐𝑜𝑙𝑡𝑒𝑙𝑙𝑜 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑒 𝑟𝑖𝑔ℎ𝑒 𝑠𝑢𝑙𝑙𝑎 𝑡𝑒𝑙𝑎 𝑖𝑛𝑐𝑒𝑟𝑎𝑡𝑎.

Ora, ditemi voi, se tutto l’amaro che c’era in quel piatto non è la quintessenza dell’inizio della fine, il brodo del matrimonio bollito, la scodella dell’ultima cena. Lo è, definitivamente, un piccolo accenno della valanga che si sta per abbattere sui coniugi Bovary.

Ora, se il vostro/a compagno/a di vita sgranocchia nocciole, guarda svogliato la tela incerata mentre compila una adeguata autocertificazione, fateci caso. Buona fase 2