Dalle Terre riemerse al Bivio del tempo: la poesia di Matteo Maxia

Dalle terre riemerse al bivio del tempo: la poesia di Matteo Maxia

di Gabriella Venera Grasso

Ho unito in un unico segmento (ma in realtà è solo la parte di una retta…)  i titoli delle due raccolte poetiche di Matteo Maxia, poeta cagliaritano, musicista, appassionato di arti visive e di viaggi. L’autore coglie a piene mani dalla ricca messe di spunti che queste sue passioni gli offrono; si muove sulla spinta di una curiosità vivace e una sensibilità accesa (“morso anch’io da un ramarro/quand’ero troppo giovane/ perché la vita/ mi facesse da antidoto”), proponendoci itinerari suggestivi: dalle terre riemerse dei ricordi, tanto quelli indelebili quanto le impressioni di un momento, delle consapevolezze che affiorano, fino a nuove, misteriose prospettive, verso realtà non monolitiche, al bivio del tempo. Ecco perché le due raccolte possono leggersi quasi come un continuum, con una coerenza tematica e di resa linguistica.

I temi sono tanti e vari, ma gravitanti attorno al gioco del tempo, flusso e baleno, magma e spuntone di roccia, al suo legame indissolubile con lo spazio e con i tanti luoghi che il poeta ha visitato e amato, dei quali ci restituisce colori e luci, come sfumature spirituali (“Il Tempo e lo Spazio/ imbavagliarono il Silenzio/Indossarono occhi di bimbo/ e si fecero ovatta e vapore”).

 

La lingua è una risorsa preziosa, di cui essere responsabilmente consapevoli (“Il linguaggio fallisce/ quando smette di creare il mondo/ quando resta muto/ di fronte al suo sfacelo”), anche di fronte alla sua fallibilità (“si assolva il linguaggio/ per aver battezzato/ dal latino cum-vergere/ due linee all’incoccio/ in cui collassa il percorso”).  E’ sempre strumento duttile e generoso di opportunità, con cui l’autore gioca (e torna il motivo del gioco, serissimo approccio alla vita per un poeta che non nasconde il suo lato malinconico e bambino). Frequente il gusto di scomporre le parole, separandone le parti o “aprendole” e rivelandone così il nòcciolo e più di una possibilità: ”s(tralci) di vite dal gusto di-vino”,  “di-versi (monologo di un clochard)”, “tra(s)guardi comuni”, “terap(oes)ia”.

Le atmosfere sono cariche (di dettagli, di spunti sensoriali, di sentimento e sensualità) e rarefatte al tempo stesso, come sospese, appena prima di aprirsi ad un bivio sconosciuto.

 

Alcune poesie

Da “Terre riemerse” (Edizioni Ensemble, 2017)

 

Sens’azioni

 Ricordi?

Ci si acquattava

in quel luogo inviolabile,

di pensieri disinnescati

e parole inesplose.

La pelle bramava

ciò che la mente ignorava,

nei limiti imposti

dai sensi mendaci.

Un solo pendolo,

rintocchi del presente

rubato al controllo:

due cuori all’unisono

non sbagliano il ritmo.

 

 

Entanglement

 Echi lontanissimi

dejà vu di frammenti sconnessi

mi rimbombano muti

a tutte le latitudini del cuore.

Il tuo volto,

mosaico discreto che riappare

in ogni vuoto non colmato

in ogni istante trascurato.

Le distanze son scorciatoie,

codici di ingresso

per rincorrerci nel tempo

tra risurrezioni di memorie.

Saremo sempre noi,

rumore di passi nella notte senza patria

foto da scattare su pellicole di stelle

orme di battigia da imprimere col pianto

 

 

 

 

Da Al bivio del tempo” ((Edizioni Ensemble, 2018)

 

Il viaggio più lungo

 Ho visitato molti luoghi

senza mai viverne alcuno.

Dovrei imparare prima ad abitarmi,

con la mia facciata decadente

la lotta senza quartiere ai pensieri in fuga

un cantiere aperto nell’anima.

Il prossimo viaggio lasciami lì,

in quell’angolo di valigia

dove trovano alloggio

le cose più fragili.

 

 

Abdicare

Dovremmo preservare le nostre stagioni

scegliere il tempo

per andare incontro all’autunno

e farci melagrane.

Essere disposti

a perdere la corona

pur di donare i rubini del cuore.

 

Akoya

 

Hai nell’iride

un esito di madreperla

ferite di sabbia

e sedimenti del tempo

nel miracolo della vita

quando si fa ost(r)ica

 

 

Tre domande a Matteo Maxia

 

D: Quali sono le tue personali terre che la poesia ha fatto emergere?

R: La Poesia, così come l’Arte tutta, almeno per come io la intendo, è processo sottile e multi-sensoriale che slatentizza Verità e Bellezza in chi la dona e in chi la riceve. L’assenza di queste due dimensioni o il loro mancato nutrimento sono infatti alla base di ogni forma di disarmonia individuale e collettiva e questi tempi ne stanno impietosamente certificando gli effetti. La vorticosità del vivere, l’inaridimento dei contatti interpersonali, il rarefarsi progressivo di strumenti cognitivi e animici per sbrecciare il muro della superficialità, inibendo la capacità di arrivare e di arrivarsi dentro, sono solo alcuni degli indicatori di una mancanza profonda di Verità e di Bellezza nelle nostre vite. 

Ecco che, attraverso la Poesia, sono riuscito a catalizzare un percorso di auto-guarigione, in divenire perpetuo, a far riaffiorare l’humus del vissuto e del sofferto per concimare cambi di traiettoria e a farne un pur piccolo e marginale strumento terapeutico di testimonianza e condivisione. Sono infatti tanti i riscontri in termini di gratitudine da parte delle lettrici e dei lettori che, attraverso l’empatia e l’immedesimazione, hanno tratto un qualche ristoro dai libri che ho consegnato alle stampe. Io ho avuto il privilegio di essere semplicemente un tramite, di ricordare loro, attraverso la parola, cose che già sapevano ma di cui si erano scordati. L’Arte bisbiglia appena alla coscienza, ma sa essere la più persuasiva tra i messaggeri, la più potente tra i guaritori.

 

 D: Cosa significa il viaggio, nella tua esperienza di vita e di scrittura?

R: Il viaggio, almeno nella sua accezione del piacere, è una delle esperienze umane maggiormente predisponenti al cambiamento se, come ci ricorda Henry David Thoreau, si è davvero pronti a essere completamente liberi, finanche facendo testamento (!), prima di mettersi in marcia.

Viaggiare è la sublimazione del movimento, del dinamismo fisico, che poi si traduce spesso in plasticità mentale; è il più ampio ventaglio di possibilità cui potenzialmente attingere per qualunque cambio di prospettiva. Un mutamento di contesto è funzione biunivoca, che alimenta sia la dimensione dell’andata che quella del ritorno. Perché se l’assuefazione che deriva dall’essere stanziali offusca la visione, l’astrazione da cambio di stato restituisce invece messe a fuoco e dettagli altrimenti cristallizzati nella normalità. 

Condanna e rivalutazione di ciò che si lascia, di ciò che si perde, di ciò che si trova o si ritrova fanno pure parte del bagaglio del viandante, in un caleidoscopio esperienziale che tanto sa porre in sorprendente connessione realtà fenomenica e mondo onirico.Ecco, non è forse questa la sala d’attesa in cui si accomoda il processo creativo prima di partorire la sua materia? Personalmente, non sarei in grado di scrivere, senza la possibilità di leggere e di viaggiare. Scrisse in proposito Sant’Agostino: “Il mondo è un libro, e quelli che non viaggiano ne leggono solo una pagina”.

D: Quali sono i tuoi progetti al momento?

 R: Dal punto di vista esistenziale, tento faticosamente di predispormi ogni giorno a un abbandono fluido lungo la strada intrapresa per diventare ciò che sono nato per essere. Sul piano pratico, questo approccio dovrebbe auspicabilmente consentirmi, tra le altre cose, di essere ancora quel tramite sopra richiamato per il mio infinitesimale contributo all’espansione della coscienza collettiva attraverso altre sillogi. La prossima, a carattere sperimentale e a doppia firma, potrebbe vedere la luce già entro questo necessario 2020.

Matteo Maxia è nato nel 1976 a Cagliari, città nella quale vive e lavora attualmente. Strimpellatore di chitarra e cantautore per pochi intimi, ama la Sociologia, la Musica, la Poesia e ogni declinazione espressiva dell’Arte che sa emozionare. Sin dalla più tenera età, è attratto da tutto ciò a cui la Scienza non sa dare risposta e non esce mai di casa senza il suo taccuino, in cui cerca di catturare prospettive provenienti da ogni piano dell’esistente.