Rosaria Catanoso, Rapporto sul sapere. Gli intellettuali nel tramonto della politica

Di Ivana Rinadi

Il volume di Rosaria Catanoso  Rapporto sul sapere. Gli intellettuali nel tramonto della politica, (Fondazione Giacomo Matteotti, 2021) è frutto di una lunga e accurata ricerca che con lo sguardo rivolto al passato fino al presente ha tracciato la figura dell’intellettuale nelle varie epoche storiche. Una ricerca accurata che emerge dalle numerose e puntuali note su cui ci si sofferma perché è da queste che sorgono le domande più interessanti.

L’autrice, docente al Liceo, collabora alla cattreda di Filosofia politica nel Dipartimento di Studi umanistici dell’Università della Calabria. Si è dedicata a  lungo al pensiero di Hanna Arendt, l’ultimo suo studio è la monografia Imprevisto ed eccezione. Lo stupore della storia (Giappichelli, Torino 2019). Ciò che le interessa in questa ricerca non è offrire uno sguardo acritico dell’intellettuale, bensì ri-definire il ruolo che i pensatori e le pensatricipotrebbero ancora avere in una fase in cui la politica è al suo tramonto e sulle cui cause continuiamoa interrogarci e forse provare a dare qualche risposta. Sicuramente è venuto a mancare quel nesso necessario tra passione e razionale organizzazione collettiva, un nesso indicato da Gramsci e che ha portato all’inarrestabile declino della forma partito come l’abbiamo conosciuta nel secolo scorso.
Ovvero, la crisi di quella forma della politica che pur avendo colto la necessità del soggetto collettivo, si lascia sfuggire la relazione. Se nel secolo scorso a tener viva la democrazia erano i corpi intermedi, partiti e sindacato, oggi ne siamo in qualche modo orfani. Ad essi si sono sostituiti i populismi di varia matrice che invece di produrre cultura politica e partecipazione creano divisioni più che coesione, consenso su slogan più che sui contenuti. Il criterio populista che unisce le classi
dirigenti (politici, giornalisti, opinion makers) è il disprezzo per la cultura, per le ragioni della storia, per la credibilità dei testimoni e della memoria, per la lucidità della parola e la complessità degli argomenti.

Nell’era globale assistiamo paradossalmente e ne stiamo vivendo i drammatici effetti al risorgere dei nazionalismi. Rifiorisce l’idea di confine, si alzano muri, risorge all’orizzonte la guerra come strumento di risoluzione dei conflitti. Ancora più pericoloso è il non pensiero, inteso come mancanza di senso critico, di comode recezioni dei luoghi comuni, delle generalizzazioni che i media e i social ci propinano quotidiamente. Non meno grave della crisi della politica è lo scadimento dell’informazione: la nozione di sfera pubblica a partire da Mill, Tocqueville, Habermas, Arendt, è fondamentale per la democrazia che presuppone un’opinione pubblica informata, capace di scegliere; in realtà la società digitale ha svuotato di senso la figura critica e di custode della verità dell’intellettuale.

I messaggi ridondanti e veloci, il linguaggio semplice, essenziale, persino banale, ha fatto sì che la quantità prevalga sulla qualità. Il nuovo pensiero globale omologa e tende ad escludere voci critiche. Alla figura del mâitre a penser si è sostituita la figura dell’influencer. L’intellettuale da schermo, dice Alberto Aghemo nell’introduzione al volume, è diventata una presenza costante nei talk show, sui social, nei blog, divenendo funzionale al sistema. Insomma una nuova mutazione antropologica prima che culturale. In questo quadro in cui si inserisce anche la crisi dell’istruzione, delle scuole e delle università, luoghi politici per eccellenza, dove si dovrebbe imparare a pensare più che a conoscere, gli intellettuali, che siano filosofi, scienziati, storici, insegnanti stentano a trovare una loro collocazione positiva nel risvegliare l’intellettuale che è in ciascuno di noi.
Rosaria Catanoso ci ricorda quanto negli anni Sessanta e Settanta fosse importante la funzione intellettuale, un tramite tra il sapere,la cultura dell’élite e la cultura popolare. Lo fa soffermandosi sui tanti progetti che provavano a definire la funzione dell’intellettuale: ovvero colui/colei in grado di mettere a punto un apparato teorico da utilizzare sul piano politico. Ci ricorda le esperienze delle
riviste Critica marxista, Il Contemporaneo, Società, Il gruppo 63 e le tante voci che hannocontribuito a una democratizzazione del sapere.
In questo percorso non mancano le domande:

– Cos’è l’intellettuale? Chi è l’intellettuale? Come si chiedeva Eugenio Garin.
– Possono essere gli intellettuali guida del popolo? (Edith Stein)
– L’intellettuale deve essere chiuso nella sua torre d’avorio con i limiti denunciati da Panofsky e con le sue potenzialità, ovvero la possibilità di esercitare un controllo, segnalare i pericoli per la libertà?

Certo, sostiene l’autrice, l’intellettuale che sia filosofo, storico, giurista, filologo, scienziato, non dovrebbe mai rinunciare alla verità. Anche se questi non è mai figura neutra, entra in gioco con la sua soggettività, con il rischio di moltiplicazione di tante verità, comunque ci si aspetta che non proponga teorie ex-cathedra per le quali non fornisca un’indicazione. In passato abbiamo assistito alla rinuncia di alcuni intellettuali alla loro missione di custodi della verità: l’autrice ricorda le denunce di Ortega y Gasset che in La ribellione delle masse evidenzia la crisi della società spagnola dovuta al divorzio tra le èlite e masse; Croce in Italia che nella sua Storia d’Italia (1928) e in Storia d’Europa (1932) richiama gli intellettuali a non essere asserviti al regime fascista. E ancora Gramsci che ne I quaderni dal carcere e Gli intellettuali e la cultura invita all’uso pubblico della ragione, alla coerenza tra pensiero e azione, all’attenzione per l’altro. Infine Bobbio secondo cui l’intellettuale deve seminare dubbi, non raccogliere certezze. Dunque, la politica come gestione della Res publica non può rinunciare alla critica del pensiero. Il non riconoscimento della funzione culturale ha sottratto alla stessa le sue funzioni originarie, costringendola a trovare radici nell’economia, nella tecnica, nel digitale, nella medicina. Nostro compito è ripensare un ceto intellettuale in grado di elaborare criticamente l’intellettuale che in ciascuno di noi esiste. Non più arroccato nell’accademia, egli diventa anche organizzatore e costruttore della politica, non un politico di professione, bensì una figura che proponga un uso
pubblico del suo sapere professionale.

A conclusione del suo volume, Rosaria Catanoso ci offre una sua visione: la necessità di superare la tecnica e avvicinarsi al mondo con stupore poetico. Abitare poeticamente vuol dire che la poesia è alla base della nostra comprensione del mondo che si apre come spazio di stupore e di possibilità. Uno stupore che contrasta l’ideologia del fare, della tecnica, del capitale che ha condotto il vivere all’insignificanza e al non senso perdondo di vista il telos e il fine, pronto ad accogliere la differenza/le differenze. Per questo la politica ha bisogno della cultura e della sua critica perché diventi strumento di trasformazione e risponda a un desiderio di giustizia.
Da qui l’esigenza di riallacciare un legame tra ethos e polis. Allora l’azione sarà pensata e il pensiero agito. A conclusione dell’intenso e problematico percorso, l’autrice ci lascia un’immagine intensa che sa di auspicio e di impegno: “ Tra un passato perduto e un futuro da inventare, il presente è il tempo del cammino”.