di Emilia Pietropaolo
Si racconta una storia per rimanere vivi anche dopo la morte. il romanzo di Vincenzo Fiore, non è una ‘boccata d’aria’ per chi legge, tutt’altro. È una storia cruda e di un feroce riscatto. È la storia di Sorana e della sua Romania post-Ceaușescu ma è soprattutto la storia dei bambini dimenticati.
Sappiamo già che Sorana è morta ma non conosciamo il motivo, allora si ritorna indietro all’università, a loro due, a Cesare e Sorana e in Romania.
Questa non è una storia d’amore. È la storia di Sorana e del suo corpo.
Si dice che una cicatrice sia segno di una battaglia. La cicatrice sul corpo di Sorana è un promemoria. Come la nutrice Euriclea nella “cicatrice di Ulisse” Cesare racconta la storia di Sorana.
Sorana è un nome con un corpo maledetto, è una bambina intrappolata nel bruco di una farfalla, una farfalla che emergerà solo dopo la sua morte. Lontano dagli occhi e dal cuore, in questo caso dall’Occidente, nel villaggio di Câlnic vive Sorana.
Una bambina già cresciuta portando dentro di sé il germe della violenza, un corpo abusato sotto il cielo della Romania. In un’epoca dove fare i figli erano una vittoria per lo stato e dello stato, quello di Sorana, diventa un figlio di una madre peccatrice.
“Pare che questi ogni qualvolta nasceva un bambino si riunivano per piangere, mentre al contrario si rallegravano durante i funerali per la fine di tutte le sventure”

Edgar Degas, le viol, 1868-89, Philadelphia Museum of Art.
Il corpo della donna diventa importante quando è riproduttivo, non è più della donna ma dell’uomo. Se vuoi trattenere un uomo, lo devi legare con un figlio come dice la zia di Sorana.
Quella di Sorana è una delle tante storie delle donne nate nel posto sbagliato che per sopravvivere diventano orfane, scappano di casa, lasciando alle spalle la vita precedente. Sorana conosce Ion diventa per lei quello che le ha cambiato il destino, in peggio e in meglio.
“Ion Petrescu fu l’uomo, il ragazzo che rappresentò per Sorana l’evasione. Un’evasione non solo fisica, ma anche di pensiero”
In meglio perché attraverso le parole cerchiate, conosce la vita delle parole, la scala che la porta da Cesare. In peggio perché Sorana inizia a diventare lei stessa un fantasma, il suo corpo diventa l’involucro dei soldi. Gli uomini di Sorana rappresentano il destino.
Nell’aula di Antropologia Sorana fa la sua entrata catturando l’attenzione di Cesare, potrebbe sembrare un film sentimentale, di sentimentale però c’è solo la sofferenza nascosta dalla sua nuca, dietro quei folti capelli neri legati.
La storia si intreccia tra passato e presente, si frammenta nella voce di Cesare e in quella di Sorana. Sorana non sopravvive come Viorica conosciuta nel luogo dell’inferno. Le donne, in questo romanzo di Vincenzo Fiore, sono quelle che subiscono le atrocità, la disumanizzazione dell’uomo.
In Sorana l’atrocità, il peccato, è la cicatrice promemoria sul ventre, in Viorica è la sua innata immaginazione con un corpo da foglia e la madre è la dea bendata che in silenzio cerca di portare in salvo il bruco della figlia.
La storia di Sorana non la racconta un uomo come si può pensare, è lei stessa, attraverso il suo reportage sui “fantasmi che non esistono”, è lei che ci porta in quella reggia che è in realtà una fogna tanto amata da Viorica, è lei che ci porta alla realtà oscura dei bambini strappati dal ventre delle madri. Un posto senza religione.
Quella di Sorana è la storia di tante donne che non hanno mai potuto concepire una stanza tutta per sé, neanche il corpo che diventa proprietà pubblica.
“Sentivo il mio corpo freddo e rigido, come se fossi morta, e forse avrei desiderato morire nell’istante in cui mi infilò le mani fra le mutande”
La vita di Sorana non è mai stata quella di vivere ma sopravvivere, sapeva già che un giorno sarebbe stato un suo oggetto a vivere per lei, il suo promemoria.
I demoni da combattere erano talmente tanti che ancora la perseguitavano.
La cicatrice che la suggellava come madre, la perseguitava come avesse il marchio la lettera scarlatta della peccatrice. È una madre mai nominata, mai chiamata, è solo un promemoria, non ha mai sentito quella parola.
Cesare diventa l’interprete della vita di Sorana, è lui che fa conoscere la storia dietro la cicatrice di madre mai chiamata, è lui che va alla ricerca di Sorana bambina che non ha mai avuto la possibilità di diventare farfalla. Come il suo reportage la cicatrice non esiste, è una favola, i fantasmi non esistono, i bambini strappati non esistono. Sorana immette un titolo potente e provocatorio come questo per suggellare ancora di più la realtà dei fatti. Si festeggia al funerale dei bambini e si piange quando nascono.
“Mi balenò l’idea di registrare autonomamente un documentario per raccontare le periferie romene e le abitazioni delle montagne senz’acqua ed elettricità. Avrei voluto mostrare al mondo quello che avevo vissuto anch’io […] di chi aveva camminato sulle stesse impronte dei bambini diseredati”.
Potrebbe essere benissimo un romanzo in stile dickensiano e dostoevskiano.
Come le donne di Dostoevskij, Sorana è una Sonja Marmeladova con il ‘marchio’ sul petto che la suggellava come la prostituta che sacrificava il suo corpo per la famiglia mentre lei come marchio aveva la cicatrice di una nuova vita.
Sorana rappresenta il dor, il grido di dolore che non si ribella, ma che accetta fatalmente il suo destino.Vincenzo Fiore con la storia di questa donna, pubblicato da Nulladie, ha raccontato la storia di tante altre donne e dei bambini fantasmi. In questo momento nei luoghi dimenticati ma anche in posti molto vicini a noi, ci sono donne come Sorana.
Donne alle quali vengono strappati i figli, l’infanzia e la gioia di vivere. Paradossalmente Sorana vive nella sua morte, sceglie lei per la prima volta il suo destino. Il suo riscatto diventa il documentario.