Il tempo lento e crudele del deserto. Su Takyr di Andrej Platonov

di Antonina Nocera

 

Vi era un tempo lontano in cui i nomadi si spostavano sulle lande deserte del takyr, nei territori curdi e aspri dell’antico Turkmenistan sovietico  degli anni trenta. Si fatica a pensare a un tempo preciso, perché takyr, il nome delle terre argillose che davano nutrimento e patimento alle orde carovaniere,  è una dimensione del tempo, dell’anima, sospesa nello spazio liscio e galleggiante della sabbia. In questo tempo, lungo e circolare, si consumano le vite delle donne coperte dai veli, vendute dai genitori al loro padrone,  consumate dal vento arido, dalle carestie e dalla consunzione delle carni troppo  presto esposte alla vecchiaia.  Il tempo di essere adolescente e di accarezzare i granelli di sabbia, di sincronizzare la propria malinconia con quella dei cavalli e delle pecore viandanti, che si è già pronti per una solitudine eterna.  Il tempo della memoria lunga era una somma di attimi fugaci , come le voci di chi passa velocemente per passare la notte e poi fugge all’alba , toglie le tende,  cena con il respiro dell’animale, sugge acqua dai pozzi disseminati, sente il peso della bisaccia.  La piccola Giumal, nasce così, pura come un fiore del deserto , subita esposta alla morte e ai pericoli del deserto turkmeno.  Sopravvive e diviene adolescente conoscendo presto le ineluttabili leggi della sua gente: un corpo prestato al piacere altrui, la prostrazione, il duro lavoro.

“Cresciuta nell’angoscia e nella malinconia, nella fame e nella schiavitù, ma viva pura e paziente”.

Giumal non sapeva cosa vi fosse al di là del deserto, non conosceva l’altrove. Quando morivano i mariti, le donne del takyr, bagnavano lo jasmak per simulare le lacrime. Lei non conosceva l’amore non lo sapeva, il suo cuore era arido come le dune desertiche che aggiungono granelli al vento e seppelliscono cammelli malati. Dove è condotta Giumal? Verso un sogno che non esiste come le allucinazioni della dune, quando il caldo e la sete si impossessano della mente. La sua vita ha una dolcezza silente che si scopre solo nei dettagli, quando adulta, laureata in agraria ritorna nel takyr per recuperare le specie di piante perdute, in un palazzo dal serpente dorato sulla sommità, una croce russa che conserva i resti della madre, lo scheletro del suo amante polverizzato, una storia controrivoluzionaria che non porta nessuna bandiera, nessun vessillo: tutto è nello  spazio di un takyr, dove vita e morte si avvicendano come petali cadenti.

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